La cronaca dell’Aula del Senato e dintorni del pomeriggio del 24 luglio conferma ciò che si sapeva già (Savoini a Mosca in delegazione con Salvini) ed aggiunge alcune novità: 1) Conte sbugiarda Salvini e ne prende le distanze (“Savoini in Russia al seguito del ministro” e “non ho ricevuto informazioni dal ministro competente”); 2) durante il suo intervento c’è un paesaggio lunare (i senatori 5stelle disertano l’Aula contro Conte per la vicenda TAV); 3) Salvini umilia il Parlamento fregandosi di render conto del caso Savoini, e su Facebook, durante la sua tiritera demagogica, non dice una parola sul russiagate (Salvini scappa e cambia discorso); 4) la “terza Camera” non è più il salotto di Vespa ma Facebook (dopo l’audizione di Conte, Renzi, Di Maio e Salvini arringano le masse dal social network).
Intanto l’intera vicenda moscovita passa in secondo piano, travolta dai contrasti nel governo e, a maggior ragione, nessuno dice una parola su una questione essenziale su cui dal primo momento tutti hanno fatto orecchie da mercante, e cioè chi è politicamente Gianluca Savoini, l’uomo della Lega. Proviamo a parlarne.
Julius Evola, Maurizio Murelli. Due nomi interessanti per la biografia di Savoini.
Cominciamo con Evola.
Tanta parte delle generazioni italiane fascionaziste del dopoguerra si è abbeverata al suo credo. A chi legge, (se ne ha voglia) l’onere di approfondire sul personaggio; si sappia però che, fra l’altro, costui scrisse l’introduzione all’edizione del 1938 – l’anno dell’avvio delle leggi razziali – de “I protocolli dei “savi anziani” di Sion”, un falso costruito della polizia segreta zarista (l’Ochrana) in base al quale tali “savi” confermerebbero l’esistenza di un piano giudaico (e massone) per il dominio del mondo. Un alibi – uno dei tanti – per i campi di sterminio. Nella circostanza Evola scrive fra l’altro che i protocolli “contengono il piano di una guerra occulta avente per obiettivo, anzitutto, la distruzione completa di tutto ciò che nei popoli non-ebraici è tradizione, casta, aristocrazia, gerarchia, come pure di ogni valore etico, religioso, supermateriale”. Tale “organizzazione internazionale occulta” “avrebbe da tempo sviluppato, e continuerebbe a sviluppare, un’azione unitaria invisibile, alla quale sarebbero da riferirsi i principali focolai del pervertimento della civiltà e società occidentali: liberalismo, individualismo, egualitarismo, libero pensiero, illuminismo religioso, con le varie appendici che conducono fino alla rivolta delle masse e allo stesso comunismo”.
Anni dopo, consumata nella catastrofe, nei lager, nel fuoco e nel sangue l’esperienza nazifascista, e poi conseguentemente messa al bando dalla comunità internazionale, Evola scrive (Orientamenti, 1950) sulla necessità della costruzione di “un nuovo schieramento”: “Ciò deve avvenire in termini assai più essenziali di quel che non sia un “partito”, il quale può essere solo uno strumento contingente in vista di determinate lotte politiche. (…) È piuttosto una rivoluzione silenziosa, procedente in profondità, che si deve propiziare”.
Il 9 luglio 2019 il sito d’informazione Bussfeed pubblica l’audio dell’incontro all’hotel Metropol di Mosca del 18 ottobre 2018 fra tre russi e tre italiani. Fra questi ultimi, Gianluca Savoini, presidente dell’Associazione Lombardia Russia. Nell’incontro si sarebbe parlato di un finanziamento illegale alla Lega tramite una tangente di 65 milioni di euro in ragione di una triangolazione commerciale di una gigantesca quantità di gasolio. Nei giorni successivi Salvini, sbugiardato poi in Senato dal presidente del Consiglio, nega di aver invitato Gianluca Savoini al forum Italia-Russia di Mosca, presenziato dal ministro dell’Interno. In realtà era già tutto chiaro: il 19 luglio Fiorenza Sarzanini scrive sul Corriere della Sera: “La sera precedente all’hotel Metropol di Mosca, il 17 ottobre 2018, il ministro dell’Interno Matteo Salvini cenò con Gianluca Savoini. Con loro, al ristorante Rusky all’85esimo piano del grattacielo Eye, c’erano altre sei persone”. In sostanza, assente alla cena del 18, Salvini concluse la precedente serata proprio con colui che aveva negato d’aver invitato a Mosca.
Le indagini della magistratura faranno il loro corso e si vedrà se e quali responsabilità penali ricadano sui personaggi coinvolti direttamente o indirettamente in questa vicenda. Ma ciò che interessa mettere a fuoco ora è altro, e cioè chi è Gianluca Savoini.
Un aiuto essenziale ci proviene dal volume “I demoni di Salvini – I postnazisti e la Lega”, del giornalista Claudio Gatti (Chiarelettere 2019). Dalla sua lettura emerge che da decenni è in atto un complesso e articolato disegno di penetrazione di esponenti definiti dall’autore “postnazisti” nel partito prima di Bossi, oggi del giovane ministro milanese. Tutto (o quasi) inizia attorno al “Centro culturale Barbarossa di Saluzzo (Cuneo), un sodalizio originariamente legato a Franco Freda, formato da ex ordinovisti e personalità provenienti dal gruppo torinese di Europa civiltà, animato dall’editore Maurizio Murelli, da cui nacque la Società Editrice Barbarossa e Orion”, come scrive Matteo Luca Andriola. Murelli è l’altro “dioscuro” della biografia di Savoini.
Si ricorderà chi è Franco Freda, assolto con formula dubitativa per la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Da Wikipedia: “È stato condannato per una serie di attentati esplosivi (bombe del 25 aprile 1969 e attentati ai treni dell’estate 1969, questi ultimi che causarono 12 feriti) compiuti tra gli anni sessanta e gli anni settanta nell’ambito della cosiddetta strategia della tensione in Italia. Inoltre fu condannato definitivamente a quindici anni di carcere per associazione sovversiva per la costituzione del Gruppo di Ar e in seguito a sei anni per istigazione all’odio razziale in relazione alla vicenda del Fronte Nazionale, sciolto dal Consiglio dei ministri nel 2000 sulla base della legge Scelba e della legge Mancino”.
E Maurizio Murelli? Già del Movimento Sociale Italiano, il 12 aprile 1973 partecipa agli scontri tra neofascisti e forze dell’ordine, durante cui muore, colpito da una bomba a mano Srcm, l’agente di polizia Antonio Marino. La bomba, consegnatagli da Murelli, è lanciata da Vittorio Loi, I due sono arrestati. 19 anni di carcere per Loi. 18 per Murelli che in carcere collabora con rivista clandestina Quex, promossa da detenuti di estrema destra, per poi diventare animatore, con Borghezio, del mensile Orion.
Dalla redazione di Orion e dal gruppo di Saluzzo – un’area profondamente “evoliana” – si avvia un avvicinamento progressivo alla Lega, nel quale spicca per attivismo e “fedeltà” proprio Mario Borghezio, poi europarlamentare della Lega stessa. E’ proprio dagli “evoliani” che si creano i primi fili di (stretta) solidarietà con un gruppo di personalità russe reazionarie e nazionaliste, fra cui rifulge Aleksandr Dugin. Costui, – che sarebbe l’“intellettuale” della compagnia – invoca “il pre-moderno, il post-moderno, l’anti-moderno, l’Asia, la tradizione romana”, propone una riorganizzazione sociale fondata su sacerdoti, guerrieri e contadini “affinché il Cielo riconquisti la Terra”, teorizza un impero che sia “il ritorno degli angeli, la resurrezione degli eroi, l’insurrezione del cuore contro la dittatura della ragione”. Quale sarebbe il territorio dell’“impero” di questo visionario che sembra uscito da un sabba medioevale e che si muove fra svastiche e riti esoterici? L’Eurasia a trazione russa. Dugin è il punto d’incontro fra gli “evoliani” e i reazionari russi.
Scrive Murelli nel 1986, cioè prima della caduta del muro di Berlino: “Oggi a cercare l’Europa è soprattutto l’est perché il centro del mondo si è spostato proprio lì”, e l’anno precedente su Orion, come racconta Maurizio Gatti, la redazione del periodico si dichiara a favore di “un impero euroasiatico che si estenda dall’oceano Pacifico a quello Atlantico, che abbia come guida spirituale e politica l’Europa. Uno “Stato-impero” formato da “regioni nazionali” a conduzione organica i cui confini rispettino non gli interessi del mondialismo ma quelli delle etnie”.
E Savoini? Eccolo. Ancora Claudio Gatti: Savoini “fa il giornalista e da decenni è in contatto con Maurizio Murelli”. Fin da ragazzo, al liceo di Albenga, si professa fascista. Trasferitosi a Milano, la sua propensione si accentua. Che ambienti frequenta? Scrive Gatti: “Insisto con la fonte anonima (…): il circolo Ideogramma, che il rappresentante della destra milanese Roberto Jonghi Lavarini considera l’unico altro “laboratorio culturale” della destra antagonista di quel periodo assieme ad Orion”. Manco a dirlo, sulla rivista del circolo compare ripetutamente una citazione di Julius Evola. Gatti: “La merce ideologica di Ideogramma non ha nulla di diverso da quella di Orion: etnonazionalismo, xenofobia, antisemitismo”. Da un articolo su Ideogramma di ottobre-dicembre 1990: “Il binomio di sangue e suolo si connette a quanto, nella tradizione occidentale, ebbe senso di fedeltà. Alle origini chiarezza, semplicità, compostezza e purità incontaminata”.
Chi si incontra con i russi? Gatti: “Ad avere rapporti con i russi, fin dai primi anni 90, erano gli amici di Orion. Mi aiuta nella ricostruzione Maurizio Murelli, il quale mi dice che nel lontano 1992 c’è anche Gianluca Savoini ad accogliere Aleksandr Dugin, il pensatore russo dell’area postnazista, da lui invitato per la prima volta a Milano”. L’anno precedente – 1991 – Savoini era entrato nella Lega.
Eliminato il fastidioso accidente dell’Unione Sovietica che implode, si apre una prateria per le forze reazionarie russe che finalmente possono operare alla luce del sole.
Nel 1997 Savoini, che nel 1993 conosce Salvini con cui costruisce un solido rapporto di amicizia, lavora alla Padania, in un locale della redazione ricco di icone, foto e disegni nazisti, foto di Hitler compresa. A domanda (di Gatti) il direttore della Padania Gianluca Marchi, “conferma che Savoini apparteneva al filone nazionalsocialista. E quando chiedo al suo successore Gigi Moncalvo, mi risponde secco; «la definizione esatta è nazista»”.
Da allora il cursus honorum di Savoini è travolgente: organizza il primo viaggio a Mosca di Bossi “quando va a incontrare Žirinovskij, il turbonazionalista russo”, poi l’incontro fra Bossi e Haider, allora leader del partito nazionalista austriaco FPÖ. Successivamente Savoini diventa portavoce del nuovo segretario Matteo Salvini, e ha la delega ai rapporti con la Russia. Con Salvini intanto si fa strada un altro personaggio: Andrea Mascetti “il fondatore di Terra Insubre, ennesima associazione postnazista”. “Mascetti è anche legato a Gianluca Savoini”. In un festival “Insubria terra d’Europa” dedicato alla Russia, Mascetti dichiara fra l’altro: “personalmente considero gli Stati giacobini nati dalle rivoluzioni borghesi come il più grande dramma che sia mai occorso all’Europa”.
Da un certo momento in poi, aggiunge Gatti, “a schierarsi a fianco del capitano è una pletora di “pensatori” identitari e sovranisti. Tutti appassionatamente dietro il suono incantato dei pifferai postnazisti. Con il contributo fondamentale del portavoce Gianluca Savoini la loro operazione di contaminazione ideologica, sistematica e sempre meglio orchestrata, procede con lo sdoganamento dell’«essenza fascionazista» e la diffusione parallela del credo murelliano nel superamento dei «vecchi schemi politici».
Si moltiplicano le “iniziative ideologiche” nazistoidi: il circolo culturale Il Talebano pubblica un appello in cui si legge: “Alcuni decenni or sono Jean Thiriart (ndr: fondatore nel 1963 di Giovane Europa – Jeune Europe – che fu la palestra di centinaia di neonazisti), elaborò la teoria geostorica dell’Eurasia.
Il geopolitico belga era convinto che la strada da seguire fosse quella di unire le terre fra Lisbona e Vladivostok in un’unica nazione, uno spazio continentale che prende ragione della sua esistenza dal momento della caduta dell’Urss. (…) Noi partiamo da questa visione per proporre l’Europa delle Patrie in cui siano i popoli a decidere del loro futuro”. Sottoscritto da vari personaggi della destra radicale, il documento viene firmato anche dall’immarcescibile Diego Fusaro, che già in passato aveva partecipato ad un dibattito con Dugin (e naturalmente Savoini) e che è amabilmente apprezzato da CasaPound.
Colpo di teatro nel finale del volume di Claudio Gatti, edito – ripeto – nel maggio 2019: “ne «Il libro nero della Lega», i colleghi Giovanni Tizian e Stefano Vergine scrivono di averlo (ndr: Savoini) sorpreso in una sala dell’hotel Metropol di Mosca mentre partecipava ad un negoziato di compravendita di tre milioni di tonnellate di gasolio con interlocutori russi non meglio identificati. Secondo la loro ricostruzione, in quell’occasione si sarebbe discusso di uno sconto particolare che avrebbe permesso di generare fondi per finanziare attività elettorali della Lega”.
È la notizia che esplode il 9 luglio quando il sito d’informazione Bussfeed rivela la registrazione dei colloqui all’hotel Metropol di Mosca del 18 ottobre 2018 fra tre russi e tre italiani.
Salvini era così all’oscuro dell’incontro che (Corriere della sera, 19 luglio) Fabrizio Candoni, fondatore di Confindustria russa, racconta che era stato “invitato all’hotel Metropol, e a Salvini, che era stato invitato anche lui, ho sconsigliato di andare”. Cioè Salvini ignorava l’esistenza di un incontro a cui era stato sconsigliato di partecipare (!?).
Conclusione: Salvini e Savoini hanno un rapporto strettissimo e duraturo. L’intera vita di Savoini è caratterizzata da frequentazioni, letture, convinzioni e comportamenti di estrema destra, più o meno fascistoide o nazistoide. Uno dei collegamenti più stabili sembra proprio quello con Maurizio Murelli. Nella Lega c’è una componente – definita da Gatti postnazista – che si ispira più o meno esplicitamente a quelle idee, a quelle politiche, a quegli uomini. Attorno alla tematica Lega e circoli filonazisti russi si muove una galassia di decine di personaggi neri attivi fin dagli anni 80 (e spesso fin dagli 70, come Murelli e Borghezio). Sono noti i rapporti di Salvini con i dirigenti di CasaPound e ancor più note le citazioni di Mussolini: in partenza da Mosca (sempre Corriere della sera del 19 luglio) Salvini scrive “dopo aver incontrato imprenditori italiani e ministri russi, si riparte in direzione Bolzano. Chi si ferma è perduto!”. Vedi combinazione, come disse Benito a Genova il 14 maggio 1938. Non è la prima volta: “Noi tireremo dritto”, “Me ne frego”, “Tanti nemici, tanto onore”, è un parziale florilegio della prosopopea mussolinico-oratoria del ministro.
C’è dunque una cupa linea ancien régime di tanti neonazisti che identificano nel mito dell’Eurasia a trazione all’incirca zarista il futuro del mondo. Ma non è l’unica: l’entente cordiale con Trump è l’altra faccia della medaglia che, per non prendere lucciole per lanterne, non va mai dimenticata. Il sovranismo e il suprematismo del presidente americano sono in ultima analisi la migliore legittimazione delle politiche del ministro italiano. “Prima gli italiani” è la traduzione peninsulare di “american first”. Il disprezzo per le donne, l’odio per le diversità sessuali, la linea di resistenza armata come (illusoria) barriera contro il fenomeno migratorio, rappresentano altri punti essenziali di contatto fra i due personaggi. Va da sé che tutto ciò è patrimonio, anzi, a dire il vero, primigenio copyright delle formazioni neofasciste italiane, a cominciare da Forza Nuova, che denuncia il fantomatico “piano Kalergy” per una “sostituzione etnica” continentale (una bufala globale come quella dei “Protocolli dei savi”). La fortissima presenza di organizzazioni paramilitari naziste in Ucraina al servizio di Kiev, a sua volta sostenuta dall’amministrazione Usa, è l’ennesima conferma della duttilità politica del moderno nazismo. Il che è certo una contraddizione rispetto alla propensione filorussa in chiave reazionaria, ma è anche la conferma dello sviluppo proteiforme e autorigenerantesi di un nuovo nazismo che, nel caos dell’attuale occidente, ha ripreso piede nelle forme più diverse, quasi rispondendo all’appello di Evola nel 1950: “E’ piuttosto una rivoluzione silenziosa, procedente in profondità, che si deve propiziare”.
C’è un’opposizione vasta e profonda di dimensione italiana ed europea a questa deriva sciagurata; l’esito delle elezioni continentali in parte lo conferma. Ma rimane molto da fare – in particolare in Italia alla luce del risultato elettorale delle Europee – per riorganizzare il vastissimo e presumibilmente maggioritario mondo democratico e popolare. L’attenzione va rivolta verso le pulsioni che rimpastano in chiave Terzo Millennio nazionalismo, razzismo, gerarchia, militarismo, diseguaglianza. Comunque le si voglia chiamare, questo è il pericolo, tanto più grande quanto più dal paludoso melting pot di queste parole e dall’opacità di tanti personaggi che ruotano attorno alla Lega di Salvini emerge carsicamente un’altra: la parola nazismo.
Salvini non è certo antifascista. Ma neppure fascista. Troppo banale. E parziale. E’ però indubitabile che parte rilevante o comunque essenziale del suo entourage ha, per usare un eufemismo, simpatie inquietanti. La magistratura stabilirà se la vicenda dell’hotel Metropol abbia o meno rilevanza penale. Sappiamo però che alcune frequentazioni del ministro dell’Interno, in primis Savoini, sono quelle che abbiamo cercato, sia pur sommariamente, di descrivere. E questo, nella Repubblica nata dalla Resistenza, è un enorme problema politico, istituzionale, ideale e morale. Un macigno che pesa sulla democrazia italiana, sul suo presente e sul suo futuro.
Pubblicato venerdì 26 Luglio 2019
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